da: M.S.Galli, “La mia legge è l'Altro”, in: In: “Mediazione & Conciliazione”. Ed. Firera & Liuzzo Publishing, Roma, 2012.
[...] Prigioni e cimiteri sono pieni di tutti coloro che hanno dovuto fare i conti con la varie interpretazioni di una qualche «vera giustizia»: da quella divina, a quella di qualche Stato più o meno democratico o più o meno totalitario.
Perché, qualsivoglia forma di giustizia, mentre si dà come strumento per normare e rendere possibile il vivere in comunità, si configura, al contempo, come dispositivo che modella e determina la comunità che va normando costruendo, per naturale contrapposizione, il dissenso di chi, di fronte a quella giustizia, è pronto a gridare: "Ma non è giusto!".
Il concetto di giustizia che definisce e struttura, chessò, la vita del cittadino italiano o cinese, non dispone unicamente una serie di regole per poter stare in quelle particolari società, ma chiede pedissequamente di aderire ad una visione del mondo; non diversamente dalla visione del mondo che spinge la madre a imporre al bambino il suo modello di giustizia con la retorica del: "È per il tuo bene".
Anzi, a ben guardare, è sempre per il «bene dell'Altro» che il mio modo di leggere il mondo, e persino il mio modo di immaginare un eventuale mondo ideale, diventano la norma con cui impongo quel mondo (o almeno ci provo) a discapito di ogni: "Ma non è giusto!" .
Insomma, ovunque lo si guardi, il concetto di giustizia, lungi dall'essere un assoluto universale, restituisce, invece, il suo fondamento relativista: culturalmente e storicamente determinato, spesso inficiato da credenze dettate da insipienza o da interessi e, più spesso, da entrambi insieme.
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