La recente sentenza Eternit, in cui Stephan Schmidheiny, l’imprenditore elvetico a capo della multinazionale dell’amianto, è stato condannato a 18 anni di reclusione e a un rimborso stratosferico per le vittime e il territorio, apre (o almeno dovrebbe aprire) la strada ad un importante ampliamento del concetto di crimine e dei confini entro i quali esso viene disciplinato.
Infatti, a tutt'oggi la giustizia, non che il senso comune, sembrerebbe intendere il crimine ancora riferendosi a posizioni mentali arcaiche e fondamentalmente riducibili a tre grandi aree: non uccidere, non rubare, non commettere atti impuri e per lo più laddove la vittima è un singolo soggetto, mentre appare più difficoltoso riferirsi agli stessi reati quando questi si presentano su grande scala.
Non stupisce, dunque, che le carceri siano piene di coloro che hanno commesso questi reati contro il singolo cui sono inflitte, a seconda delle culture e dei paesi, pene capitali, ergastoli, etc. Mentre, invece, i medesimi crimini quando sono rivolti, per così dire, contro l'umanità o parte di essa, quasi non sono percepiti come crimini, persino laddove capitolano in un'effettiva sentenza di condanna.
L'esempio del processo Eternit è eclatante. Per quanto sia una sentenza storica, stiamo parlando di una condanna di solo 18 anni a fronte di centinaia di morti e di devastanti danni al territorio e di altri morti che, per il medesimo crimine, addirittura proseguiranno nei prossimi decenni..
Sembrerebbe proprio che i danni all'ambiente, le speculazioni finanziarie, le responsabilità per le morti sul lavoro, insomma, i cosiddetti crimini dei colletti bianchi, siano meno crimini degli altri.
Questi crimini di massa, che non possono essere elettoralmente utilizzati sbandierando la soluzione di un qualche poliziotto di quartiere o simili, possono anche essere deprecati, ma risultano lontani dalla nostra percezione, tanto che siamo più facilmente disposti ad accanirci contro il borseggiatore che ci sottrae 50 euro che non chi ci sottrarre 50 milioni o mette a repentaglio la vita di intere comunità.
Anche in questo caso possiamo parlare di un "diritto di relazione" che va riconquistato, quello che implica il rapporto tra soggetti deboli e poteri forti in cui i primi, privati di ogni relazione con i secondi, rischiano (e spesso finiscono) sempre per soccombere.
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