da: M.S.Galli, “La mia legge è l'Altro”, in: In: “Mediazione & Conciliazione”. Ed. Firera & Liuzzo Publishing, Roma, 2012.
Questa semplice e tanto comune esperienza che, tutti, da spettatori o da protagonisti, abbiamo in qualche modo vissuto, restituisce, a mio avviso, e meglio di tante elucubrazioni, il senso profondamente relativista insito nel concetto e, quindi, nelle pratiche, di quella cosa che chiamiamo «giustizia».
Certo, affinché questa affermazione possa essere presa seriamente in considerazione quale minimo comune denominatore del vastissimo e tanto vivisezionato concetto di giustizia, è indispensabile e fondamentale condividere (ma per davvero e nell'agire quotidiano) l'assunto etico che ognuno, chiunque esso sia, ovunque viva, qualunque età abbia e credenza professi, ognuno merita di essere compreso, preso dentro di sé, accolto, attraverso la pratica di un ascolto attivo che investa la sua parola di quella verità paritetica nella cui sfera dobbiamo sentirci pensati per dare abbrivio a qualsiasi sana e costruttiva relazione .
Il "non è giusto" di ogni bambino e di tutte le altre piccole e grandi creature (mamme comprese), non va dunque letto solo come una protesta verso qualcosa che il protestante vive come un'ingiustizia, ma come una vera e propria modalità di vedere, intendere e intenzionare il mondo, modalità che in quel momento diverge dalla visione che permea il destinatario della protesta.
Il bambino, insomma, dal suo punto di vista, non ha meno ragione della mamma, senza che per questo la mamma abbia, sempre dal suo punto di vista, un qualche tipo di torto.
Ed è proprio perché entrambi hanno davvero ragione che, a ben vedere, l'intera storia di quel mammifero che chiamiamo uomo altro non sembra che la stenua lotta per affermare, a volte anche imponendola, la verità del proprio concetto di giustizia, che è sempre (o quasi) una verità a discapito di altri che quella verità finiscono per subirla.
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