Teresa Laviola |
Pubblichiamo l'intervento di Teresa Laviola al convegno "Diritto di Relazione - l'avvocato tecnico della gestione del conflitto" organizzato dal Centro Italiano di Mediazione (CIM) Gruppo Firera & Liuzzo sabato 26 marzo 2011 presso l'Aula Magna Alessandrini del Tribunale di Pescara. L'intervento è tratto dall'omonimo articolo pubblicato dallo stesso Firera & Liuzzo.
Ogni volta che l’uomo si è incontrato con l’altro uomo, ha sempre avuto davanti a se tre possibilità di scelta: fargli guerra, isolarsi dietro ad un muro o stabilire un dialogo.
Soltanto guardando l’altro negli occhi ci si può ripensare uguali a lui e si può avere il rispetto per se stessi: è in tal modo che si diventa capaci di rivendicare diritti nei confronti dell'altro, che a sua volta ne è pure il protagonista. Pertanto, la "dignità umana" consiste nella capacità riconoscibile di avanzare pretese di educare l’altro nel riconoscimento dei reciproci diritti. Dunque, rispettare una persona, o pensarla come titolare della dignità umana è pensarla come potenziale attore di rivendicazioni , come persona capace di “sollevarsi”, di alzarsi in piedi” .
Ebbene, rispettando l’altro, se ne riconosce la dignità umana; tuttavia soltanto dal momento in cui ci si riconosce responsabili dell’altro, ci si può davvero educare a riconoscersi reciprocamente i diritti umani e fondamentali (sempre diversi) che si è chiamati a rispettare in virtù di un principio etico, e a sopportare le conseguenze di tale atteggiamento.
Occorre chiedersi in qual modo sia possibile un effettivo riconoscimento dei diritti umani e fondamentali, senza che alcuno di essi possa essere violato, a prescindere dalla diversità dell’altro, straniero e quindi portatore di valori diversi dai miei, e se sia possibile conciliare l’uniforme principio della tutela dei diritti con quello della loro concreta applicazione. E qui, parlo del mio vicino di casa, che ha violato i miei diritti, del reo che mi ha offeso e di me che sono la vittima o l’imputato nelle svariate fattispecie, che come operatori del diritto, ben conosciamo.
Ecco allora che il diritto di relazione costituisce una strada maestra tesa ad evitare che le norme statali e comunitarie siano soltanto sterili contenitori di fattispecie astratte e che
invece si armonizzino e siano realmente applicabili tenendo conto della diversità degli individui, dando quindi concreta applicazione alle svariate fattispecie dei diritti umani e fondamentali sempre nuovi e sempre diversi, nell’universum gentium.
Tale è la missione dell’avvocato che, in una società fondata sul rispetto della giustizia “non si limita alla esecuzione fedele di un mandato nell'ambito della legge. In uno Stato di diritto l'avvocato è indispensabile alla giustizia e a coloro di cui deve difendere i diritti e le libertà; egli è tanto il consulente quanto il difensore del proprio cliente. La sua missione gli impone una serie di doveri e obblighi, a volte in apparenza contraddittori, verso:
- il cliente;
- i tribunali e le altre autorità davanti alle quali l'avvocato assiste o rappresenta il cliente;
- la professione in generale e ciascun collega in particolare;
- la società, per la quale una professione liberale e indipendente, legata dal rispetto delle regole che essa stessa si è data, è un mezzo essenziale per la salvaguardia dei diritti dell'uomo nei confronti dello Stato e degli altri poteri.”
Pertanto, l’avvocato, adeguatamente formato, nel corso dell’iter legale, in condivisione col proprio assistito e in collaborazione con il difensore di controparte e del suo cliente, si adopera per elaborare un programma di gestione del conflitto in grado di guardare alle esigenze di tutte le parti coinvolte, e responsabilmente accettato da queste.
L’avvocato educatore (così chiameremo d’ora innanzi il difensore formato al processo di diritto di relazione) è un’esploratore di mondi possibili: egli è un creativo ricercatore in quanto non si lascia polarizzare dalle idee dominanti e dalle prospettive più ovvie: infatti la logica, quando è rigida, è incapace di trovare soluzioni originali.
L’avvocato quindi esprime di getto le proprie intuizioni e permette al proprio assistito di fare altrettanto educandolo a valutare il maggior numero di possibilità. Egli esamina i punti di debolezza e i punti di forza del proprio assistito educandolo ed educandosi a valutare e gli ostacoli (altresì finanziari) e le opportunità che dovessero emergere per la maggiore e reale tutela dei diritti fondamentali e umani tenendo in massimo conto la ”relazione” tra le parti.
A questo scopo, l’avvocato educa il proprio assistito e trova con lui, collaborando con la controparte, soluzioni stabili che siano realizzabili concretamente e che risultino funzionali alle esigenze personali degli assistiti; tali disposizioni devono essere precise ed elastiche in quanto devono potenzialmente evitare nuovi contrasti.
L’avvocato inoltre favorisce l’ascolto e il dialogo: valore che si fonda su giudizi di realtà, in quanto egli ha superato il nichilismo normativo inteso quale mera applicazione della norma, espressione della posizione del proprio assistito. L’avvocato diventa educante ed educato all’arte dell’ascolto, condizione decisiva su cui strutturare una buona ed efficace relazione d’aiuto nei confronti del proprio assistito, dei suoi sentimenti e stati d’animo; è il modo di sentire il mondo personale del cliente “come se” fosse il proprio, stando principalmente attento a non trascurare appunto quel “come se”; comprendendone i sentimenti e condividendone le stesse emozioni. A sua volta, egli educherà il proprio cliente a “sentire il proprio avversario”, “come se” fosse al posto di quest’ultimo.
Inoltre l’avvocato educatore chiarirà il messaggio che il proprio assistito vorrà comunicargli, educandolo a focalizzare i punti cardine della disputa.
L’avvocato dovrà sempre tenere a mente che quel che vede dipende dal suo punto di vista e che perché veda il punto di vista del proprio assistito dovrà cambiare il proprio e a sua volta educare il proprio assistito e se stesso a “mettersi nei panni di controparte”, cambiando “ruolo” nella disputa.
Pertanto, l’avvocato collabora col proprio assistito chiedendogli di aiutarlo a vedere le cose e gli eventi dalla prospettiva di quest’ultimo.
Le parti, seguite dai difensori, impareranno a relazionarsi in maniera costruttiva tra di loro raggiungendo l’attuazione piena e reale dei reciproci diritti e saranno protese verso il futuro al fine di evitare potenzialmente nuovi contrasti.
Pertanto, l’avvocato dovrà educare il proprio assistito a relazionarsi con la controparte anche qualora essa non sia motivata a cambiare “posizione”, perchè “sufficientemente” soddisfatta dello status quo raggiunto (affidamento dei minori): infatti presto o tardi, il suo comportamento, teso a negare o a limitare il riconoscimento del diritto della controparte, sarà “punito” con un atteggiamento ritorsivo della stessa, che recriminerà il proprio maggior interesse.
Pertanto, mentre l’avvocato contendente si fa condizionare emotivamente dallo stato d’animo dell’assistito, vive a sua volta troppo emotivamente la gestione del conflitto, puntando quindi ad una sola soluzione della disputa, riflesso della presa di posizione del proprio cliente, l’avvocato educatore alla gestione relazionale del conflitto, ha un maggiore controllo sulle emozioni esaminando e progettando più di una soluzione. Mentre l’avvocato contendente si limita a registrare la vittoria sulla controparte o l’impossibilità di giungere ad una soluzione della vertenza nei termini in cui l’aveva prefigurata, l’avvocato educatore si relaziona con la controparte per il riconoscimento dei diritti dell’assistito, nei termini in cui li abbiamo configurati e di conseguenza il suo impegno sarà focalizzato sui reali interessi delle parti in conflitto.
Inoltre, v’è da considerare che spesso le parti configgenti si trovano ad interagire per lungo tempo tra di loro (liti tra condomini, dispute familiari ecc.): l’avvocato deve introdurre strategicamente elementi nuovi da valutare educando il proprio assistito a scegliere atteggiamenti collaborativi anche in situazioni “strutturalmente” non cooperative. Se infatti le parti continuano ad adottare una strategia di comportamento dominante, saranno condannate nel lungo periodo a perdite ingenti (nuovi ricorsi, denunce, ecc.). Nel caso in cui sia soltanto una delle parti a decidere di assumere un atteggiamento cooperativo, nella mossa successiva è molto probabile che anche la prima decida di adottare una strategia “ritorsiva” innescando un meccanismo inesorabile e autodistruttivo: pertanto, comportamenti non collaborativi saranno immediatamente “puniti” con risposte altrettanto non collaborative, mentre comportamenti corretti saranno parallelamente premiati con fiducia e comportamenti altrettanto corretti.
Questo percorso di diritto di relazione può essere posto in essere soltanto attraverso una formazione qualificata dei difensori che conquistino competenze quali quella dell’empatia e dell’intelligenza emotiva, ovvero di quelle competenze trasversali legate più al saper essere, che combinate al sapere e al saper fare vanno a comporre l’expertise degli avvocati educatori al diritto di relazione nella specificità della loro professione.
Attraverso il processo di diritto di relazione ogni soggetto di diritto avrà la possibilità di formulare le proprie rivendicazioni e di esprimerle affermando la priopria dignità, “camminando eretto” (claiming); ognuno avrà la possibilità di ricevere concreta soddisfazione dei propri bisogni ed interessi. In tal modo, ogni individuo avrà la possibilità di e-manciparsi (ex-macipum: liberazione dalla schiavitù) dalla propria condizione penalizzante, di responsabilizzarsi e di assumere su di se la responsabilità dell’altro, a sua volta soggetto di diritti.